martedì 13 novembre 2012

DJOKOVIC E' IL NUOVO MAESTRO DEL TENNIS MONDIALE

Il serbo si impone con il punteggio di 7-6 7-5 su Roger Federer e si aggiudica il Master di fine anno.

Londra 12/11/2012 – Una finale spettacolare. Non ci sono altre parole per definire la finale del Master  World tour finals giocata ieri sera nel magnifico impianto dell’ O2 arena. E i protagonisti di un tale spettacolo non potevano non essere loro due: Novak Djokovic, il numero uno della classifica mondiale, e Roger Federer, l’intramontabile numero due della classifica Atp. I due maestri del tennis hanno dato vita  a una sfida mozzafiato, a uno scontro epico che di sicuro rimarrà negli annali del tennis mondiale.
PRIMO SET : Federer parte subito forte strappando  il servizio al suo avversario e portandosi  nel giro di pochi minuti sul punteggio di tre games a zero. Il campione svizzero cerca di dare subito una svolta alla partita facendo perno su una ottima prima di servizio e sul suo diritto micidiale. Il ritmo iniziale imposto dal numero due del mondo sembrava aver messo alle corde il campione serbo. Ma proprio quando tutto sembrava perduto, Djokovic trova la forza per reagire. Il numero uno del mondo, dopo essersi liberato dal torpore iniziale, incomincia a rispondere colpo su colpo. E dopo venti minuti di autentica battaglia, al quinto game riesce a strappare il servizio all’avversario e a riportarsi in parità sul tre a tre. Ma Federer non ci sta. E dopo aver vacillato per tre game sotto il tiro incrociato del serbo reagisce e si riporta avanti cinque a quattro. Al decimo game,  e sul suo turno di battuta, il campione svizzero ha la possibilità di chiudere il primo set, ma Djokovic ritrova ancora una volta la sua spietata determinazione e  ricomincia a macinare punti da fondocampo. Alla fine il campione serbo riesce a strappare il servizio all’avversario e a portarsi sul  sei pari. Si va al tiebreak. Federer deve ricominciare di nuovo tutto daccapo. Ma stavolta a portarsi  avanti è Djokovic, mentre Federer è costretto a  inseguire il suo avversario fino al colpo del cinque a cinque, momento in cui il campione   svizzero fa rimanere di stucco il suo sfidante realizzando un passante di diritto mentre era  spalle alla rete.  Djokovic rimane esterrefatto sotto rete a pensare al colpo appena messo a segno del suo avversario. Mai nella storia del tennis  si era vista una cosa simile. Ma al campione serbo bastano pochi secondi per riprendersi dallo shock. E una volta tornato a fondo campo riprende a martellare il suo avversario chiudendo il tiebreak sull’ otto a sei  e aggiudicandosi il primo set. 
                                                                                                                       
SECONDO SET: Federer riprende alla grande, mettendo sin da subito in campo il suo tennis migliore. Come nel primo set, riesce strappare subito il turno di battuta al suo avversario e a portarsi sul tre a uno. Djokovic, invece, da parte sua, appare nervoso e un po’ stanco. Sembra aver pagato oltremodo lo sforzo sostenuto nel primo set. Ma  chi conosce il serbo sa benissimo che con lui non è mai detta l’ultima parola. Djokovic è un osso duro, uno di quei tennisti che ha fatto della tenacia e della calma determinazione i suoi punti di forza. E così, come successo nel primo set, il campione serbo ricomincia  a macinare punti su punti da fondocampo. E alla fine la svolta arriva al decimo game quando il punteggio era sul cinque a quattro in favore dello svizzero. Djokovic riesce a rispondere da fondocampo a tutti gli attacchi dello svizzero; quasi come se fosse un muro di gomma capace di rispedire al mittente qualsiasi colpo. Gli scambi diventano lunghi ed estenuanti: soprattutto per il trentunenne svizzero. E alla fine il campione elvetico  è il primo  a risentire della fatica. A causa di un paio di errori gratuiti lo svizzero spreca due set point sul 40-15 e cede il game al serbo.  Siamo sul cinque pari. Lo svizzero è alle corde: non ha più la lucidità necessaria per imporre il suo gioco. Il venticinquenne serbo, invece, riesce a correre su e giù per il campo come un forsennato e a recuperare palla dopo palla tutti gli attacchi del suo avversario. Gli scambi sono sempre più lunghi e gli errori del campione svizzero sempre più frequenti. Federer non ce la fa più. E al dodicesimo game, quando il punteggio era sul sei a cinque per il serbo, Djokovic chiude la partita in due ore  e 15 minuti infilando lo svizzero con un passante di rovescio.
Alla fine ha vinto il migliore, il prototipo del giocatore moderno. Un super atleta capace di mantenere sempre alta l’intensità dello scambio a dispetto della fatica. Djokovic è diventato ormai il dominatore del tennis mondiale, un vero  e proprio cannibale capace di vincere su tutti i campi. E se nemmeno la classe di Roger Federer ha potuto nulla contro il nuovo re della classifica Atp, allora non resta altro da fare che aspettare il ritorno in campo di un altro mostro sacro del tennis mondiale: Rafa Nadal.

venerdì 9 novembre 2012

LA GENERAZIONE DEI DANNATI

« Ormai le offese mosse alla mia generazione non si contano più. E l’ultima uscita del ministro Fornero, a pensarci bene, non è stata poi così pesante: ne ho sentite di peggiori» ha detto Francesco, un giovane di 26 anni e con in tasca una laurea in Scienze politiche con indirizzo internazionale. Francesco si è laureato circa due anni fa presso la Federico II di Napoli con ottimi voti, ma da quando ha conseguito la laurea non è ancora riuscito a trovare un lavoro decente. « Durante gli studi – ha proseguito il ventiseienne -   ho lavorato come cameriere. E anche se la paga era da fame  e in nero non mi sono mai lamentato: dopotutto ero ancora uno studente. Ma adesso, anche se continuo a fare il cameriere e a spezzarmi la schiena per pochi spiccioli, non posso più accettare  l’idea di rimanere in queste condizioni. Ho voglia di guardarmi in torno, di  trovare un lavoro migliore: un lavoro che mi riservi per lo meno un trattamento dignitoso».  Si perché, il punto della questione è tutto lì, in questa parolina che ormai nessuno vuole più pronunciare. Dignità. Ma quando si parla di dignità i ragazzi non pensano certo alla poltrona di Marchionne e né tantomeno a quella del ministro degli Esteri. Quella generazione   di ragazzi colpevole di essere nata tra la seconda metà degli anni settanta e la prima metà degli anni ottanta forse sarà anche una generazione  di piccoli sognatori, ma di certo non è una generazione di stupidi. La maggior parte di questi  “bamboccioni”  sa benissimo che i loro sogni rimarranno per sempre chiusi in un cassetto. Sono consapevoli, ma soprattutto pronti ad accettare qualsiasi lavoro gli venga proposto. A patto, però, che nessuno osi calpestare la loro dignità. « La cosa che mi fa più male non sono le offese. Ci hanno chiamato in tutti i modi:  mantenuti, mammoni, choosy. Addirittura a qualcuno una volta gli è venuto in mente di farmi notare che quelli come me “ non sanno inventarsi il mestiere”» ha detto Claudio, un ragazzo di 29 anni e con una laurea in Sociologia dimenticata chissà dove.  « La cosa che più mi brucia - ha rimarcato il ventinovenne inviperito- è che a farmi sentire un derelitto sono quelli che per più di quarant’anni si sono ingozzati come dei maiali senza mai chiedersi se tutto quel benessere potevano permetterselo. Quelli che appartengono alla  stessa generazione di cui fanno parte anche i miei genitori e che è vissuta nel pieno del boom economico; la stessa generazione che ha lasciato a me e ai miei coetanei una situazione insostenibile fatta di corruzione, disoccupazione ed enormi buchi di bilancio da ripagare. Mi sarebbe tanto piaciuto trovarmi al loro posto, in quegli anni contraddistinti dal benessere e dello sviluppo economico dove bastava avere “ la voglia”  per meritarsi un contratto di lavoro dignitoso. Oggi, invece, durante i colloqui di lavoro i dirigenti stipendiati dalle piccole e grandi realtà imprenditoriali del paese  offrono ai candidati in cerca di lavoro la prospettiva  di  aprirsi una partita iva per lavorare come “imprenditore di te stesso” presso la ditta di qualcun’ altro. Mi sarebbe davvero piaciuto vedere i miei detrattori  versare nelle mie stesse condizioni e con lo stesso rapporto di lavoro, presentare la richiesta di un mutuo a uno sportello bancario. Dubito fortemente che sarebbero riusciti a costruirsi un avvenire». E anche  Claudio, come del resto quasi tutti i suoi coetanei  che vivono nella provincia di Napoli, è  «costretto» a vivere ancora con i suoi genitori. E non certo perché è uno scansafatiche. Claudio è uno dei tanti che avrebbe voluto abbandonare il nido familiare subito dopo la laurea, a 25 anni. Ma gli sono bastati pochi mesi dal conseguimento del titolo per capire che avrebbe dovuto mettere da parte le  ambizioni personali e accontentarsi di un lavoro qualsiasi. Già durante gli ultimi anni di università, infatti, il giovane laureando partenopeo di belle speranze, pur venendo da una famiglia appartenente al ceto medio che non gli ha mai fatto mancare nulla, ha incominciato a lavorare per  una piccola società di vigilanza che offre ai suoi dipendenti l’opportunità ( si fa per dire) di lavorare su tre turni per la modica cifra di cinque euro lordi l’ora. E poco importa se il turno cadeva la  notte di Natale o di Capodanno. La paga era sempre la stessa: cinque miseri euro … e per di più lordi. Il che, per dirla in  soldoni e far afferrare il concetto a ministri, sottosegretari e vecchi brontoloni di turno che non hanno la percezione della realtà, significa portare a casa non più di cinquecento euro alla fine di un  mese  fatto di duecento ore di lavoro, di turni estenuanti e di  rischi ovviamente non coperti da  assicurazione. E tutto questo, non certo per portare a casa una paga da onesto lavoratore, ma solo per  «far tacere la mia coscienza di figlio devoto e responsabile che vuole a tutti i costi evitare l’onta di passare per mantenuto» ha ribadito uno sconfortato Claudio  mentre cercava  a fatica di trattenere le lacrime. E basta andare un po’ più in là con l’età  per trovare storie di vita ancora più piene  di rabbia e sconforto. Storie come quella di Davide, un giovane partenopeo di 34 anni che, dopo aver fatto tanti sacrifici,  messo spalle al muro dalla crisi, decide di rimettersi subito in gioco dopo il conseguimento della laurea. « Nel 2009, anno in cui ho conseguito la laurea in Scienze politiche, ho pensato di mollare tutto per qualche mese  e andare in Inghilterra allo scopo di migliorare il mio inglese ed  avere maggiori possibilità di trovare un lavoro decente al mio ritorno in patria» ha affermato il trentaquattrenne. Così, Davide lascia per tre mesi il suo  lavoro di portiere presso una fabbrica di abiti di Arzano di Napoli ( anche questo mal pagato e con partita iva) per  andare a studiare  l’inglese  a Brighton, una piccola città del Sussex. E l’esperienza all’estero è piaciuta così tanto al giovane volenteroso che al suo ritorno in patria, non riuscendo a trovare un lavoro migliore, decide di ritornare a svolgere il suo vecchio lavoro, ma senza abbandonare l’idea di migliorare il suo inglese. Davide  ricomincia così a studiare. E dopo dieci mesi fatti di ore di studio durante i turni di notte, il giovane napoletano consegue un altro titolo presso un’importante istituto inglese sito a Napoli. Tuttavia, per uno strano scherzo del destino, le soddisfazioni di Davide sono destinate a finire tutte le volte che termina un percorso scolastico. Le cose stavano di nuovo per cambiare:  e anche questa volta in peggio. La fabbrica presso la quale Davide stava svolgendo il  suo  lavoro pidocchioso stava per fallire a causa della crisi. Da quel momento in poi Davide ha iniziato a pensare a cos’altro poteva fare per scampare a un destino infame. E a un anno dal suo ritorno in Italia decide di ripartire alla volta di Roma per frequentare un master in giornalismo internazionale. « Allora tutti dicevano che la cosa migliore da fare  era quella di migliorare il proprio profilo personale mentre tutto era fermo. Così facendo (  secondo gli  esperti) sarebbe stato più facile trovare lavoro una volta finita la crisi» ha spiegato Davide.   Ma le cose andarono in modo diverso. La crisi iniziata nel 2008 in America e che secondo le prime stime degli economisti sarebbe dovuta terminare nel 2011, ha continuato a mordere le economie europee fino ai giorni nostri. E oggi c’è anche chi dice che una vera e propria ripresa economica ci sarà solo nel 2015 ( quando Davide avrà 37 anni). E tutto ciò il nostro amico ultratrentenne lo ha potuto sperimentare sulla propria pelle quando, subito dopo la fine del master, ha iniziato a mandare curriculum e a ricevere le prime risposte. « Le offerte di lavoro che mi arrivavano erano allucinanti. Alcune testate mi hanno offerto cinquanta centesimi ad articolo, altre un euro; altri invece una collaborazione che aveva come premio finale l’iscrizione all’Albo dei pubblicisti. E siccome non c’è mai fine al peggio, qualcuno si è anche permesso di avanzare delle proposte al limite della stupidità. Fu il caso di un giornale online, ilpallone.net , che dopo aver ritenuto un mio articolo di prova “soddisfacente”  arrivò a farmi la proposta più assurda che io abbia mai sentito: il direttore, di cui non ricordo il nome, arrivò a mandarmi via mail un’offerta in cui c’era scritto che avrei potuto lavorare per il suo giornale online solo nel momento in cui gli avessi trovato uno sponsor. Una volta fatto ciò, avrei potuto iniziare a scrivere per il suo giornale sportivo percependo il trenta percento dei finanziamenti  che lo sponsor avrebbe versato mensilmente alla sua testata». Naturalmente, dopo quella esperienza, Davide ha preferito lasciar perdere il giornalismo e  le previsioni degli esperti  per ritornare a guardarsi  intorno. E l’obiettivo era sempre lo stesso: trovare un lavoro «semplicemente » dignitoso. Così Davide riprende a inviare curriculum, a fare colloqui e, dulcis in fundo,  a presentarsi nei patronati in cerca di uno straccio di lavoro: non lo avesse mai fatto. Non che sia un reato presentarsi in uno dei tanti patronati presenti sul territorio nazionale: ci mancherebbe altro. Ma, a sentire Davide, forse, quella del patronato è stata la sua esperienza peggiore. « Quando sono arrivato nel patronato  per consegnare la domanda di  aspirante alla carica di “personale non docente”  da inserire nelle scuole, oltre ad aver assistito a una ressa tra disperati che cercavano consigli a destra e a  manca per  guadagnare qualche punto in più in graduatoria, ho capito una cosa sbalorditiva: in questo paese, chi si impegna allo scopo di migliorarsi è un coglione». Davide, ovviamente, si era presentato in quell’ufficio con la sua cartellina piena di speranze. Pensava che i titoli sistemati in quella cartellina avrebbero potuto dargli  maggiori possibilità rispetto agli altri concorrenti di ricoprire il ruolo di bidello o di impiegato. Ma le speranze di Davide erano destinate a infrangersi anche stavolta. « Quando ho consegnato la cartellina all’addetto alla compilazione dei moduli – ha continuato Davide -  questo ha iniziato a scartare tutti i documenti come si fa con la carta straccia in cerca del diploma delle scuole medie. E quando gli ho fatto notare che tra quelle scartoffie  c’era anche la fotocopia della mia laurea in Scienze politiche conseguita a pieni voti, il dipendente del sindacato  gli ha dato un’occhiata e poi ha segnato sul modulo altri due miseri punticini. Il resto dei titoli, i certificati di lingua e  il master  non li ha nemmeno presi in considerazione. Agli impiegati non interessava sapere quanto avessi studiato o quanto mi fossi impegnato. A loro premeva solo sapere se avevo conseguito un qualsivoglia diploma e se nel frattempo avevo messo su famiglia: in parole povere, ai sindacati e agli enti dello stato interessava solo sapere se ero abbastanza mediocre da meritare quel posto di lavoro».  Dopo aver preso l’ennesima batosta, a Davide non è rimasto altro da fare che tornare mestamente nel  luogo da cui era partito: a casa di sua madre. « Attualmente – ha ribadito un furente Davide – la famiglia è l’unico ammortizzatore sociale che riesce a salvare migliaia di giovani dalla fame più nera, ma non dalla vergogna.  E quando parlo di vergogna mi riferisco a quello  che si prova quando ci si rende conto che a più di trent’anni non si ha quasi nessuna possibilità di poter seguire quello stesso istinto naturale che circa quarant’anni fa ha portato intere generazioni a staccarsi dal nido per costruirsi un avvenire contando sulle proprie forze  e sul proprio “ onesto lavoro” di tutti i giorni. Alla generazione di dannati a cui appartengo, alle volte, sembrano essere rimaste solo due scelte. La prima è quella di lavorare per l’unico datore di lavoro che in questo momento ha soldi da spendere: la criminalità organizzata. Le mafie, oltre ad avere soldi a  sufficienza per finanziare tutte le grandi opere di questo paese, possono assicurare a un affiliato uno stipendio sicuro e una prospettiva di carriera: proprio come facevano un tempo le aziende italiane. E se poi a ciò si unisce l’odio che ormai milioni di giovani nutrono nei confronti della politica e del proprio paese, non è difficile intuire che, anche per chi viene da quartieri tutt’altro che malfamati, la via verso  le tentazioni criminali potrebbe diventare più allettante che in passato. In questo momento non è facile quantificare quanti giovani credono ancora nello Stato e nelle istituzioni, ma c’è da scommettere che una grossa fetta dell’elettorato giovanile diserterà le urne perché in collera con la classe dirigente che ha guidato il paese negli ultimi venti anni e che, nonostante i fallimenti, è pronta a ripresentarsi alle prossime elezioni».  Ma  a far impallidire non è certo la prima scelta di cui stava parlando poc’anzi Davide, bensì la seconda. « Tuttavia –  ha continuato il trentaquattrenne – per gente come me che viene da delle famiglie oneste e rispettabili, accettare dei compromessi e scendere a patti con la malavita è impossibile. Amiamo troppo i nostri valori per abbassarci a tanto. Allora, stando così le cose, non sono pochi i giovani padri di famiglia e i disoccupati ultratrentenni che decidono di salvare la loro dignità di esseri umani seguendo gli esempi che i grandi condottieri del passato hanno lasciato ai posteri. Circa tremila anni fa, coloro i quali hanno dato vita alla nostra civiltà preferivano darsi la morte piuttosto che accettare un destino fatto di schiavitù e di umiliazioni. E oggi, ve lo posso assicurare, sono tanti, troppi, quelli che si trovano nella mia stessa situazione e che hanno iniziato a rivalutare quell’antica pratica. Se non altro, come ho sentito dire da qualcuno, e un modo per  “ salvare la propria dignità di uomo ed evitare il peso di una situazione insostenibile”». Tuttavia, Davide ha tenuto a precisare che lui non è tra questi e che proverà a farsi forza e  a  cercare sempre nuove soluzioni perché « a darla vinta a questo mondo infame» non ci pensa nemmeno. Ma d’altra parte, il fiero lottatore dei nostri giorni ha anche tenuto a precisare che « nessuno può permettersi il lusso di scaricare e né tantomeno di sbeffeggiare una generazione di dannati a cui è stato consegnato un mondo peggiore di quello in cui hanno vissuto i propri genitori. Dopotutto, oggi siamo gli unici a sapere cosa significa provare  vergogna, gli altri,quelli che negli ultimi vent’anni hanno fatto di tutto per far finire la mia generazione in fondo a un cesso si permettono il lusso di andare ancora in giro a  testa alta».