mercoledì 10 ottobre 2012

Greci in piazza contro la Merkel

Atene 09/10/2012 – Ci sono voluti più di seimila poliziotti in assetto antisommossa per tenere una  folla di manifestanti  inferociti lontani dalla Cancelliera tedesca. Al suo arrivo all’aeroporto di Atene, la Merkel ha ricevuto  un’accoglienza  tutt’altro che calorosa. L’aeroporto era semideserto. Il Premier greco, Antonios Samaras, si è limitato  a rispettare il protocollo: ha stretto la mano della Cancelliera appena scesa dall’ aereo, l’ha accompagnata davanti al picchetto d’onore e, una volta finita l’esecuzione dei rispettivi inni nazionali, i due capi di stato hanno lasciato l’aeroporto  per raggiungere la sede del Governo ellenico. Nel frattempo, il calore, quello vero e per nulla formale, si era già riversato per le strade della capitale. Alcuni manifestanti hanno inscenato un’irrispettosa marcia nazista, altri invece hanno più semplicemente sfilato con striscioni pieni di slogan anti Merkel. E in un contesto simile, di certo, non potevano mancare  gli scontri. Frange di estremisti  hanno tentato di valicare i cordoni di sicurezza  davanti piazza Sintagma lanciando sassi e bastoni all’indirizzo delle forze di polizia. Le forze dell’orine hanno però prontamente sedato la rivolta con il lancio di lacrimogeni e provvedendo all’arresto di decine di manifestanti. Dal canto suo, la lady di ferro tedesca ha cercato di stemperare gli animi precisando  che la sua visita  era stata concordata col suo entourage al solo scopo di manifestare «l’appoggio e la vicinanza del governo tedesco» al Permier Samaras e al popolo greco per i sacrifici sostenuti negli ultimi mesi. La Cancelliera ha inoltre ribadito che « la presenza della Grecia nell’Euro non è mai stata in discussione». Ma c’è chi è pronto a giurare che dietro la visita lampo della Cancelliera ci sia stato dell’altro. Secondo Alex White,analista politico della J.P. Morgan, la visita del Capo del Governo tedesco «è servita soprattutto a chiarire la posizione della Cancelliera nei confronti della Grecia». «Attualmente – ha spiegato l’analista- la Merkel ha bisogno di mostrare una certa comprensione nei confronti dei greci in vista delle prossime elezioni politiche in Germania». Tra un anno circa, infatti, parteciperanno alle elezioni   tedesche anche i trecentomila greci ( di prima  e seconda generazione) che si sono stabiliti in Germania all’indomani della Seconda Guerra mondiale. E c’è da scommettere che i partiti di opposizione teutonici, Socialdemocratici in testa,  siano già pronti a fare il pieno dei voti tra i filo ellenici di Germania che, anche se pochi, in caso di testa a testa  potranno pur sempre tornare utili.

martedì 9 ottobre 2012

Chavez vince ancora, ma non stravince

Caracas(Venezuela) 08/10/2012 - E pensare che fino a qualche mese fa tutti lo davano per spacciato. Invece, nonostante la malattia il presidente venezuelano, Hugo Chavez, l’ha spuntata ancora una volta. La sua quarta  vittoria consecutiva alle elezioni  presidenziali è stata  netta, ma non plebiscitaria. Il leader socialista ha battuto al ballottaggio il giovane candidato del partito di opposizione Primero Justicia, Henrique Capriles, distanziandolo di quasi dieci punti( 54,42 a 44,92 percento). Il cancro e le chemioterapie non hanno impedito al presidente uscente di buttarsi a  capofitto nelle elezioni presidenziali. Anche se visibilmente gonfio e affaticato, il leader socialista è riuscito a infiammare i suoi sostenitori e a convincerli a dargli un quarto mandato. Ieri sera, dal balcone del palazzo Presidenziale, il vecchio leone nella sua immancabile camicia rossa  ha dato a molti l’impressione di avere davanti una persona diversa: con un’ insolita luce  negli occhi. Forse il leader socialista, mentre salutava i suoi sostenitori accorsi  in piazza per festeggiare l’ennesima vittoria, sapeva di aver fatto qualcosa di incredibile; sapeva di essere riuscito a battere  in un sol colpo il cancro e il suo oppositore politico. In un clima simile non potevano mancare le dichiarazioni da smargiasso del leader socialista. « Oggi abbiamo dimostrato al mondo intero che la democrazia venezuelana è una delle migliori del mondo» ha detto  il presidente  dal balcone di palazzo Miraflores mentre sventolava una spada simile a quella dell’ eroe nazionale Simon Bolivar. Tuttavia, il leader  venezuelano avrà bisogno di ben altro per convincere l’occidente, Stati Uniti in testa, che il suo sia diventato un vero e proprio regime democratico. In fondo, e questo Chavez lo sa bene, è difficile presentarsi al mondo intero come un leader democratico quando sei destinato a regnare per venti anni e dici di appoggiare i peggiori regimi dittatoriali, da quello Iraniano a quello Nord Coreano passando per quello bielorusso di Lucashenko. Pur stando così le cose, non sono mancati gli attestati di stima da parte di alcuni capi di stato, soprattutto sudamericani. Per l’occasione, infatti, il Presidente argentino, Cristina Fernandez, ha pensato di congratularsi con il vincitore lasciando un messaggio su Twitter in cui c’era scritto « la tua vittoria è la nostra vittoria. E’ la vittoria di tutto il Sudamerica e delle Canarie!». Ma come tutti sanno, la sbornia elettorale dura poco: il tempo di una notte. Il bello di solito viene dopo, quando devi   incominciare a occuparti dei problemi del paese: e il Venezuela di problemi ne ha ancora tanti. Primo fra tutti l’inflazione. Un male subdolo che rischia di affamare milioni di persone. Per non parlare poi della criminalità. La lotta per il controllo del mercato della droga e le continue scorribande dei gruppi criminali hanno causato dagli inizi del 2011 a oggi più di 19 milioni di morti. Numeri impressionanti che hanno fatto perdere non pochi voti allo storico leader. Non è un caso, infatti, se Capriles stavolta è riuscito ad accaparrarsi una grossa fetta dell’elettorato. Per l’astro nascente della politica venezuelana arrivare al 45 percento e impedire al presidente uscente di ripetere l’exploit delle scorse elezioni è stata comunque una vittoria. « Spero che il movimento politico che governa questo paese da 14 anni abbia capito che quasi la metà delle persone non la pensa più come loro» ha detto il leader dell’opposizione davanti ai suoi sostenitori in lacrime per la disfatta elettorale. Ma Capriles ha anche altri motivi per sorridere. Il leader di Primero Justicia sa bene che, per quanto Chavez sia un osso duro, il cancro lo ha fortemente debilitato. Ma soprattutto sa che nel partito socialista attualmente non ci sono uomini capaci di prendere per mano il partito e di stravincere le elezioni nel caso in cui il vecchio leader dovesse essere messo fuori gioco dalla malattia. Tuttavia, quest’ultime rimangono delle semplici aspettative. Per adesso i corvi e i detrattori che avrebbero voluto vedere Hugo Chavez in fondo a una fossa dovranno aspettare altri sei anni… malattia permettendo.

venerdì 5 ottobre 2012

GIORNALISTI A CREDIBILITA' 0

Napoli 05/10/2012 – Credibilità. Ecco quale dovrebbe essere la prerogativa principale di un giornalista. E dico “dovrebbe” perché negli ultimi anni in Italia quelli che fanno parte della categoria non si sono fatti mancare proprio nulla. Infatti, se scartiamo alcuni, pochi e isolati esempi di vera rettitudine giornalistica, i casi di scarsa credibilità sono stati innumerevoli: abbiamo avuto un direttore del TG1 che ha difeso a spada tratta l’ex governo durante il telegiornale; abbiamo visto servizi alla Tv  in cui un magistrato veniva sbeffeggiato perché reo( secondo la testata del TG5) di aver condannato ingiustamente il loro padrone; abbiamo  letto di direttori di giornali che hanno calunniato i loro colleghi per ripagarli delle critiche mosse da questi ultimi all’operato dell’ex governo; abbiamo  appreso di direttori di giornali costretti a scappare all’estero perché ricercati dalla polizia italiana per vicende legate a losche storie fatte di dossieraggi e ricatti perpetrati ai danni di avversari politici, e tanto altro ancora. Insomma, ce ne sarebbe abbastanza da far credere agli utenti di giornali e Tv che la credibilità dei giornalisti sia ormai un lontano ricordo. Sembrano distanti anni luce i tempi in cui Montanelli, dalle colonne de Il Giornale , sosteneva che la classe politica di allora, quella degli anni di tangentopoli, “ puzzava di fogna”. Ma allora era diverso. I giornalisti avevano una loro dignità professionale. Una dignità che gli imponeva di rifiutare anche le offerte più allettanti: soprattutto quando queste gli venivano fatte da chi stava per diventare il reuccio del paese.  Emblematica e indimenticabile fu a tal proposito  la risposta  che Montanelli,  all’epoca direttore del quotidiano Il Giornale , di proprietà della famiglia Berlusconi,  diede al Cavaliere quando quest’ultimo gli chiese di mettersi al «suo servizio» perché lui stava per «scendere in politica». Era il 1993, allora Berlusconi si apprestava a diventare l’astro nascente della politica italiana: una sorta di semidio a cui non si poteva dire di no.  Ma il semidio in quell’occasione aveva fatto i conti senza l’oste. E la risposta dell’allora direttore fu ferma, sprezzante.«Non è che io non voglio mettermi al tuo servizio» rispose l’allora direttore de Il Giornale . «Io – concluse Montanelli – non voglio mettermi a servizio». Chiunque avrebbe voluto vedere la faccia del Cavaliere in quel momento.  Ma di giornalisti di tale spessore ormai se ne vedono sempre meno in Italia. Oggi la categoria è piena di servi e di vigliacchi pronti a tutto pur di sedersi sulle poltrone che contano: anche a mettere in discussione la loro credibilità.  E questo è un po’ quello che è successo anche di recente all’attuale direttore de Il Giornale , Alessandro Sallusti. Un numero inimmaginabile di giornalisti hanno gridato( giustamente) allo scandalo, quando hanno appreso che per responsabilità oggettiva il “povero” direttore de Il Giornale avrebbe dovuto scontare una pena di  14 mesi di reclusione per un articolo ingiurioso sul conto di una tredicenne convinta ad abortire dalla madre e scritto da un certo Dreyfus  sul giornale Libero quando Sallusti ne era il direttore.  Quasi tutti hanno criticato il codice penale e le sue norme, ma solo in pochi hanno avuto la correttezza di ricordare che scrivere notizie false e calunniose su un giornale, oltre a essere un reato, è un comportamento da vile e non da giornalista serio. E se poi a ciò si aggiunge che sotto lo pseudonimo di Dreyfus si nascondeva un certo Renato Farina, ex giornalista cacciato dall’Ordine per essersi venduto ai servizi segreti deviati, allora non ci vuole un esperto di media per capire che anche la condotta dell’allora direttore di Libero fu tutt’altro che esemplare. Ma questo importa evidentemente a pochi e irriducibili rappresentanti del giornalismo di una volta. In fondo, in una categoria di iene come quella dei giornalisti, a chi può mai importare del fatto che in una democrazia liberale, in cui la stampa è per antonomasia un organo di controllo del potere, un giornalista si faccia pagare dai servizi segreti allo scopo di raccogliere informazioni e screditare l’avversario politico di turno dalle colonne di uno dei più importanti giornali del paese. E se poi le notizie pubblicate da quest’ultimo dovessero risultare false, allora pazienza.  Tanto, gli si può sempre prospettare la possibilità di scrivere fiumi di fandonie calunniose sotto pseudonimo. Proprio come hanno fatto Sallusti e Feltri con Farina, alla faccia della credibilità dei direttori di giornale.