giovedì 29 marzo 2012

Marocco: Amina risveglia la coscienza delle donne

Napoli 29/03/2012 – Qualche giorno fa, mentre stavo leggendo un articolo sulla condizione delle donne in Marocco, sono stato distratto dalle urla di una ragazzina marocchina che provenivano da sotto casa. Allora, preoccupato, mi sono affacciato dal balcone e ho visto una scena a dir poco insolita: la ragazzina, che avrà avuto all’incirca 15 anni, stava mettendo in fuga il  suo collega maschio dal semaforo che si trova a pochi metri dalla mia abitazione. Dalle nostre parti, si sa, il semaforo è per alcune generazioni di immigrati nordafricani un vero e proprio posto di lavoro. E con la crisi economica che ormai attanaglia il nostro paese,  gli automobilisti in fila ai semafori non sono più generosi come una volta. Così, la piccola marocchina è stata costretta, gioco forza, a scorciarsi le maniche e a farsi valere. Avreste dovuto vedere la faccia di  quel povero ragazzo in fuga: era terrorizzato. Mi sarebbe venuto da ridere, se non fosse stato per l’artico di giornale che avevo appena letto. L’articolo parlava per l’appunto di una giovane marocchina, Amina El Filali, che lo scorso dieci marzo si è suicidata ingerendo del veleno per topi. Amina aveva 16 anni, pressappoco l’età della nostra grintosa “ eroina dei semafori”. Ma a differenza della sua coetanea, Amina è rimasta in Marocco, in un paese in cui le donne hanno meno diritti di un cane. Amina, infatti, non si è suicidata perché, come a volte succede dalle nostre parti, è stata lasciata dal fidanzato. Amina si è suicidata perché la legge del suo paese l’ha costretta all’umiliazione peggiore: l’ha costretta, a soli 15 anni, a sposare il suo stupratore. Amina ha anche tentato di resistere, ma dopo sei mesi di matrimonio forzato ha deciso di  porre fine alle sue sofferenze con l’unico gesto estremo capace di ridarle quella libertà e quella dignità che le leggi marocchine le avevano negato. Nella monarchia marocchina, infatti, secondo l’articolo 475 del codice penale, lo stupratore può evitare il carcere se accetta di sposare la donna stuprata. Una soluzione che, secondo i giuristi del Marocco, consentirebbe alla donna di «mantenersi rispettabile» agli occhi della società. Ma soprattutto, consentirebbe alle famiglie delle ragazze stuprate di « evitare la vergogna» di avere dentro casa una ragazza non più vergine. Secondo il quotidiano Aufait « questi casi sono considerati “ordinari” in Marocco», ma per la prima volta, grazie  al gesto tanto disperato quanto orgoglioso  di una ragazzina di 16 anni, la coscienza delle donne marocchine è stata finalmente scossa a tal punto da spingere duecento coraggiose  a manifestare il 17 marzo scorso davanti al parlamento di Rabat per chiedere la modifica dell’articolo 475. « Vogliamo una nuova legge contro gli stupri» ha detto la sorella di Amina, Hamida El Filali, durante la manifestazione. «Ma più di tutto – ha aggiunto Hamida – vogliamo una legge che allo stesso tempo punisca gli stupratori e difenda i diritti delle donne marocchine». Anche le testate di mezzo mondo, colpite dall’accaduto, hanno appoggiato le rivendicazioni delle manifestanti nella speranza che in un giorno,  si spera non molto lontano, le donne marocchine che ancora risiedono in Marocco possano prendere finalmente a pedate i loro aguzzini: proprio come ha fatto “l’eroina dei semafori” dalle mie parti.    

martedì 27 marzo 2012

Il teatrino della Circumvesuviana

Napoli 27/03/2012 – Ormai comprare un biglietto della Circumvesuviana è diventato un po’ come comprare un gratta e vinci. Funziona così: l’utente compra un biglietto e, se gli  va bene, “vince” un viaggio di sola andata per la meta prefissata, mentre, se gli va male, viene avvisato all’ultimo istante da una scritta lampeggiante sul display delle partenze  che « il treno è stato soppresso». E il tutto, ovviamente, viene fatto senza preavviso e senza presentare le proprie scuse. Si perché, sono lontani i tempi in cui la compagnia di trasporti vesuviana si  scusava per  i disagi causati agli utenti : soprattutto da quando i disagi sono diventati “ la regola ” e non “ l’eccezione ”.  La Circumvesuviana di oggi non è più quella di una volta.  Non è più la compagnia ferroviaria che consentiva ogni giorno a migliaia di pendolari campani di raggiungere il posto di lavoro acquistando un biglietto del treno a costi accettabili. Oggi la compagnia si è evoluta in  qualcos’ altro. E’ passata in pochi mesi dall’ essere una delle società di trasporti più importanti del mezzogiorno a una sorta di “compagnia teatrale” famosa per le sue sceneggiate. E l’ultimo atto della “Premiata ditta Circumvesuviana”  è andato in scena ieri alle 13:00 nella stazione di Porta Nolana a Napoli, dove, alcune centinaia di pendolari, disperati, stavano aspettando con ansia che dai display luminosi uscisse finalmente la scritta «Treno in partenza». E quando finalmente la scritta è comparsa sul tabellone la gente, al settimo cielo per la notizia, si è subito diretta verso il binario numero sei per prendere  l’unico treno disponibile in quel momento, quello diretto verso la città di Sarno. Tutto è accaduto in un attimo: la gente si è infilata nei vagoni, ha occupato tutti i posti disponibili, si è aggrappata alle maniglie sicura che il treno stesse per partire e poi, proprio mentre tutti erano sicuri che le porte stessero finalmente per chiudersi , un attimo prima della partenza sono arrivati una serie di omini in divisa blu che con molta nonchalance, e una buona dose di strafottenza, hanno informato i passeggeri che l’ultima carrozza era  stata «staccata dal convoglio» e che si sarebbero mosse solo le prime due.  Ma come spesso accade in ogni commedia che si rispetti, i personaggi chiave della vicenda, i pendolari, non si sono dati per vinti: sono usciti dall’ultimo vagone come tori inferociti e sono andati a conquistarsi  un angolino  nelle carrozze davanti. Il treno era  stracolmo. Si riusciva a stento a respirare. Ma  nonostante ciò la gente era contenta perché l’incubo stava per finire; di lì a poco le porte si sarebbero chiuse e il treno avrebbe iniziato a muoversi… ma avevano fatto male i conti. Avevano dimenticato che nelle stazioni della Circumvesuviana i colpi di scena sono all’ordine del giorno. E così, a pochi istanti dalla partenza una vocina  che veniva fuori dagli altoparlanti  ha avvisato i passeggeri che il treno delle 13:02 per Sarno  sarebbe partito dal binario sette anziché sei.  In quel preciso istante, un silenzio tombale è calato tra i  passeggeri stipati nel treno come sardine. Tutti si sono guardati intorno, sbigottiti, fino a quando un vecchietto ha rotto il silenzio urlando: « ma chist so’ sciem». Quello del signore anziano è stato un urlo provvidenziale, una sorta di scossa che ha ridato alla gente, ormai esausta, la forza di riprovarci ancora. E un attimo dopo i pendolari erano già in corsa  verso il binario numero sette: il binario dal quale poi è finalmente partito il treno.  Scene di ordinaria follia come queste sono ormai all’ordine del giorno. Nelle stazioni e sui treni della Circumvesuviana si vede di tutto: capistazione che lasciano lo sportello incustodito per molto tempo, persone senza biglietto che scavalcano le barriere di ingresso ai treni, controllori che  non controllano più i biglietti e, dulcis in fundo, un’associazione a delinquere interna, composta dagli stessi dipendenti, che si è ormai arrogata il diritto di sopprimere senza preavviso decine di  treni ogni giorno. Di fronte a una simile situazione ci si chiede che fine abbiano fatto i registi di questa imbarazzante commedia, i manager dell’Ente autonomo Volturno, la holding regionale proprietaria della Circumvesuviana.  Purtroppo a questa domanda sembra non esserci nessuna risposta. Sembra quasi che gli attori di questa “sceneggiata napoletana” siano stati abbandonati a se stessi; quasi come se si sia in attesa di qualcos’altro. O forse sarebbe meglio dire di qualcun’ altro: magari di un nuovo acquirente. Si, di un nuovo proprietario  pronto a rilevare un carrozzone vecchio, svalutato  e senza credibilità che ormai non vale più nemmeno il costo del biglietto.

giovedì 22 marzo 2012

La Costa del pericolo

Napoli 20/01/2012 - Più che Costa Crociere io la chiamerei Accosta Crociere. Si perché, dalle ultime indagini giornalistiche, è saltata fuori una interessante novità. E cioè, che sono molte le navi da crociera ( non tutte appartenenti alla compagnia Costa) che hanno fatto la barba alle coste italiane, andandosi a ficcare finanche dentro al Canale di Venezia che, si sa, in quanto a larghezza non è certo  il Golfo di Taranto.  In certi casi verrebbe da dire, parafrasando un famoso passo della Bibbia, che è più facile veder passare una nave da 114 mila tonnellate in un posto stretto come la “cruna di un ago” che una barchetta di pescatori in mare aperto. Anche perché, nel caso delle navi da crociera, è quasi impossibile che qualcuno non si accorga del loro passaggio. Anzi, la nave deve fare di tutto per essere notata.  Il capitano della nave, infatti,  è tenuto  a salutare gli abitanti delle isole e delle città a cui solitamente fanno la barba con una triplice strombazzata. E Dio non voglia che l’ufficiale in comando si dimentichi le buone maniere. Qualche alto dirigente della compagnia navale potrebbe anche arrabbiarsi. Per non parlare poi dei sindaci e degli amministratori locali che da sempre tollerano certe visite un po’ avventate. Secondo la prassi ormai consolidata le parti sono tenute a mantenere rapporti di cordialità, che tanto bene fanno al business del turismo, ma che allo stesso tempo potrebbero fare tanto male alle persone che si trovano sulla nave o sulle banchine. Già, il business, gli affari, i soldi. In questo caso funziona così: io, sindaco, chiudo un occhio quando passi a pochi metri dagli scogli delle mie coste mostrando alle migliaia di persone a bordo le bellezze della mia città e tu, armatore,  chiudi un occhio quando si tratta di rispettare le regole del buon senso in mare allo scopo di  far vedere a chi sta  a terra quant’è bella la tua nuova nave da crociera.  E a dire il vero il giochino ha funzionato: o per lo meno ha funzionato fino alla sera di venerdì sorso quando, probabilmente, il capitano della Costa Concordia, Francesco Schettino,  ha deciso di chiudere,  non uno solo, ma entrambi gli occhi al momento del passaggio radente all’Isola del Giglio. Risultato: 13 morti, ottanta feriti, 24 dispersi, una nave di lusso (forse) irrimediabilmente sventrata e una perdita di immagine che al momento della riapertura della Borsa di Londra, lo scorso lunedì,ha fatto registrare un crollo del 20 per cento del titolo di Costa Crociere. Ma la tragedia a largo dell’Isola del Giglio non ha attirato solo l’attenzione dei mercati. Quest’oggi, infatti, il ministro dell’Ambiente, Corrado Clini, presenterà al Senato un decreto sulle rotte a rischio. Il decreto, stando alle dichiarazioni del ministro, dovrebbe « prevenire il verificarsi di nuovi incidenti in zone sensibili ampliando le prerogative delle capitanerie di porto».  Insomma, l’ormai tanto consolidata intesa commerciale tra i sindaci e i manager delle compagnie di crociera sembra essere naufragata. D’altronde, l’immagine della Costa Serena, la nave da crociera che lo scorso mercoledì sera è passata  a circa 300 metri dal relitto della Costa Concordia, è emblematica… soprattutto se si pensa che al momento del passaggio la Serena è stata un po’ maleducata: non ha fatto nemmeno una “strombazzatina”.  

martedì 13 marzo 2012

Qualcuno salvi il Brasile... dalla sua polizia

Roma 13/03/2012 – Può un poliziotto incrociare le braccia e rimanere impassibile di fronte a un crimine efferato come l’omicidio?  Nella maggior parte delle democrazie occidentali la risposta sarebbe stata « certamente no», ma evidentemente  non in tutte le democrazie la si pensa allo stesso modo. Al mondo, infatti, ci sono paesi come il Brasile in cui ci sono voluti 13 giorni, decine di rapine e 178 omicidi per spingere  i poliziotti brasiliani in sciopero a riallacciarsi il cinturone e tornare in strada per difendere la vita e la dignità della loro gente: di quelli che, tanto per essere cinici, gli pagano lo stipendio… ammesso che di stipendio si possa parlare. Si perché, a differenza dei loro colleghi europei, i poliziotti brasiliani guadagnano all’incirca 1000 reais al mese, che tradotti in moneta europea fanno all’incirca 500 euro, ma che tradotti in linguaggio comune suonano come  «una miseria per cui non vale la pena di rischiare la pelle». Volendo essere obiettivi, è difficile pensare che un poliziotto o un carabiniere sia disposto a pattugliare i quartieri più malfamati di Napoli, Palermo, Roma o Milano per una cifra simile. E se è difficile per un poliziotto italiano, figuriamoci per un suo pari brasiliano costretto a fare la ronda nelle innumerevoli  favelas in cui di solito  si nascondono alcuni tra i narcotrafficanti più spietati del Sudamerica. Dalle nostre parti in molti avrebbero già marcato visita. Ma si sa, fare di tutta l’erba un fascio è sbagliato. Infatti, per dovere di cronaca, va anche detto che, oltre ai poliziotti che hanno scioperato, ce ne sono stati degli altri, circa un terzo, che hanno preferito continuare a prestare servizio per le strade di San Paolo, Rio de Janeiro e Salvador de Bahia. Peccato però, che tra quei pochi irriducibili servitori dello Stato verdeoro ci fossero anche alcuni poliziotti dalla condotta non proprio esemplare. Le storie sui poliziotti corrotti che per arrotondare lo stipendio si dedicano ad attività criminali non sono il frutto della fantasia di qualche dissidente, ma una triste realtà. « La polizia militare è una bomba a orologeria» ha detto una fonte missionaria vicina all’agenzia stampa Misna. « I poliziotti – ha aggiunto il missionario – sono mal pagati, mal protetti e quindi facili da corrompere. In un contesto simile c’era da aspettarselo che prima o poi sarebbe scoppiata una rivolta».  E il fatto che la legge sull’equiparazione degli stipendi tra la ben pagata polizia federale e quella “stracciona” degli stati membri della federazione brasiliana, la Pec 300, si sia arenata in parlamento circa quattro anni fa, pare dar ragione al missionario e a tutti quelli che credono che lo sciopero  sia solo il frutto di vecchie rivendicazioni sindacali. Ma così non è.  Così non può e non deve essere. Accettare una spiegazione simile significherebbe giustificare un atto irresponsabile, un’ omissione criminale che, seppur spinta da corrette rivendicazioni salariali, non può essere tollerata. In una democrazia che si rispetti le forze di polizia non possono lasciare milioni di persone in balia di bande di malviventi per tredici interminabili giorni  e poi chiudere lo stato di agitazione affidando il comunicato stampa a uno dei suoi leader, Ivan Leite, che oltre a non essersi scusato con le famiglie delle vittime ha parlato solo di una decisione presa a malincuore allo scopo di « evitare ulteriori disagi al turismo in vista del Carnevale». Si può parlare di “disagi” quando un pendolare a causa di uno sciopero perde il treno o il tram, ma non quando più di centosettanta persone sono state derubate e massacrate da bande di criminali fuori controllo.  Un simile atteggiamento denota uno scarso senso dello Stato proprio da parte di chi, quello Stato, dovrebbe difenderlo. Uno scarso senso dello Stato e dei diritti civili denunciato più volte dalle organizzazioni per la difesa dei diritti umani come Amnesty Iternational. Secondo il rapporto stilato dall’organizzazione nel 2010 « in tutto il Brasile sono stati registrati numerosi casi di uso eccessivo della forza, di esecuzioni extragiudiziali e di tortura per mano di poliziotti». E a finire tra le grinfie della polizia, il più delle volte, non sono i boss del narcotraffico, ma la povera gente che abita nelle favelas. Ma ciò che è peggio è che, stando sempre a quanto riportato da  Amnesty, « centinaia di uccisioni non sono state  indagate accuratamente e scarsi, se non nulli, sono stati i provvedimenti giudiziari intrapresi nei confronti dei poliziotti». Il problema, dunque, non è solo economico. In ballo non c’è solo l’aumento salariale dei poliziotti, ma anche la credibilità di un paese che mira a diventare un vero e proprio punto di riferimento per tutto il Sudamerica.