martedì 13 marzo 2012

Qualcuno salvi il Brasile... dalla sua polizia

Roma 13/03/2012 – Può un poliziotto incrociare le braccia e rimanere impassibile di fronte a un crimine efferato come l’omicidio?  Nella maggior parte delle democrazie occidentali la risposta sarebbe stata « certamente no», ma evidentemente  non in tutte le democrazie la si pensa allo stesso modo. Al mondo, infatti, ci sono paesi come il Brasile in cui ci sono voluti 13 giorni, decine di rapine e 178 omicidi per spingere  i poliziotti brasiliani in sciopero a riallacciarsi il cinturone e tornare in strada per difendere la vita e la dignità della loro gente: di quelli che, tanto per essere cinici, gli pagano lo stipendio… ammesso che di stipendio si possa parlare. Si perché, a differenza dei loro colleghi europei, i poliziotti brasiliani guadagnano all’incirca 1000 reais al mese, che tradotti in moneta europea fanno all’incirca 500 euro, ma che tradotti in linguaggio comune suonano come  «una miseria per cui non vale la pena di rischiare la pelle». Volendo essere obiettivi, è difficile pensare che un poliziotto o un carabiniere sia disposto a pattugliare i quartieri più malfamati di Napoli, Palermo, Roma o Milano per una cifra simile. E se è difficile per un poliziotto italiano, figuriamoci per un suo pari brasiliano costretto a fare la ronda nelle innumerevoli  favelas in cui di solito  si nascondono alcuni tra i narcotrafficanti più spietati del Sudamerica. Dalle nostre parti in molti avrebbero già marcato visita. Ma si sa, fare di tutta l’erba un fascio è sbagliato. Infatti, per dovere di cronaca, va anche detto che, oltre ai poliziotti che hanno scioperato, ce ne sono stati degli altri, circa un terzo, che hanno preferito continuare a prestare servizio per le strade di San Paolo, Rio de Janeiro e Salvador de Bahia. Peccato però, che tra quei pochi irriducibili servitori dello Stato verdeoro ci fossero anche alcuni poliziotti dalla condotta non proprio esemplare. Le storie sui poliziotti corrotti che per arrotondare lo stipendio si dedicano ad attività criminali non sono il frutto della fantasia di qualche dissidente, ma una triste realtà. « La polizia militare è una bomba a orologeria» ha detto una fonte missionaria vicina all’agenzia stampa Misna. « I poliziotti – ha aggiunto il missionario – sono mal pagati, mal protetti e quindi facili da corrompere. In un contesto simile c’era da aspettarselo che prima o poi sarebbe scoppiata una rivolta».  E il fatto che la legge sull’equiparazione degli stipendi tra la ben pagata polizia federale e quella “stracciona” degli stati membri della federazione brasiliana, la Pec 300, si sia arenata in parlamento circa quattro anni fa, pare dar ragione al missionario e a tutti quelli che credono che lo sciopero  sia solo il frutto di vecchie rivendicazioni sindacali. Ma così non è.  Così non può e non deve essere. Accettare una spiegazione simile significherebbe giustificare un atto irresponsabile, un’ omissione criminale che, seppur spinta da corrette rivendicazioni salariali, non può essere tollerata. In una democrazia che si rispetti le forze di polizia non possono lasciare milioni di persone in balia di bande di malviventi per tredici interminabili giorni  e poi chiudere lo stato di agitazione affidando il comunicato stampa a uno dei suoi leader, Ivan Leite, che oltre a non essersi scusato con le famiglie delle vittime ha parlato solo di una decisione presa a malincuore allo scopo di « evitare ulteriori disagi al turismo in vista del Carnevale». Si può parlare di “disagi” quando un pendolare a causa di uno sciopero perde il treno o il tram, ma non quando più di centosettanta persone sono state derubate e massacrate da bande di criminali fuori controllo.  Un simile atteggiamento denota uno scarso senso dello Stato proprio da parte di chi, quello Stato, dovrebbe difenderlo. Uno scarso senso dello Stato e dei diritti civili denunciato più volte dalle organizzazioni per la difesa dei diritti umani come Amnesty Iternational. Secondo il rapporto stilato dall’organizzazione nel 2010 « in tutto il Brasile sono stati registrati numerosi casi di uso eccessivo della forza, di esecuzioni extragiudiziali e di tortura per mano di poliziotti». E a finire tra le grinfie della polizia, il più delle volte, non sono i boss del narcotraffico, ma la povera gente che abita nelle favelas. Ma ciò che è peggio è che, stando sempre a quanto riportato da  Amnesty, « centinaia di uccisioni non sono state  indagate accuratamente e scarsi, se non nulli, sono stati i provvedimenti giudiziari intrapresi nei confronti dei poliziotti». Il problema, dunque, non è solo economico. In ballo non c’è solo l’aumento salariale dei poliziotti, ma anche la credibilità di un paese che mira a diventare un vero e proprio punto di riferimento per tutto il Sudamerica.

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